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DUECENTESIMI

vaffanculo addio

CULTURA Dei modi per annodare la cravatta e dell’indiscussa primazia di essa nei confronti degli altri accessori da collo maschili

di Jeff Scafati

Esattamente come la letteratura, il teatro, le arti figurative, la musica e il cibo, anche il modo di annodare la cravatta può essere considerato una delle espressioni più intime del carattere di un popolo, indissolubilmente legato al suo spirito e alla sua storia. Gli esperti contano oggi oltre 80 diversi tipi di viluppi, ideati a partire dalla Guerra dei Trent’anni (1618-1648), quando i mercenari croati assoldati dalla Francia presero ad annodare i loro foulard intorno al collo delle camicie, sprovvisto evidentemente di bottone, fino ad arrivare ai più recenti anni Ottanta. Un dato che dimostra quanto estro e quanta fantasia siano stati dedicati a quello che, tra tutti gli accessori della moda, si conferma, nonostante il passare dei secoli, come il simbolo indiscusso dell’eleganza maschile: la cravate, come l’hanno battezzata i francesi nazionalizzando il termine croato hrvat, che significa proprio “croato”.

Muovendo dalle premesse suesposte è facile notare come la raffinata eleganza di un nodo Windsor sia frutto di una lunga e disciplinata pratica. E anche se probabilmente a ideare questo accurato viluppo non fu realmente il duca Edward di Windsor, che sarebbe poi diventato re con il nome di Edward VIII, ma Domenico Scappino, sarto dei Savoia e fondatore dell’omonima casa di moda, il fatto che nel tempo sia stato adottato come segno distintivo dalla nobiltà inglese, così aristocraticamente distaccata da tutto ciò che di materiale la circonda da poter impiegare una considerevole quantità di tempo per annodarsi la cravatta indipendentemente dall’impellenza dei propri affari, non può certo essere considerato un caso.

Allo stesso modo la pragmatica strategicità di un nodo Pratt-Shelby, che garantisce con poca esperienza e una lasso di tempo ridotto un nodo perfettamente triangolare e bilanciato, doveva necessariamente trovare la propria scaturigine nell’ingegno di un dipendente della Camera di commercio degli Stati Uniti d’America, Jerry Pratt, che iniziò a utilizzarlo almeno un ventina di anni prima che Don Shelby, noto personaggio televisivo degli anni Ottanta, lo utilizzasse in televisione e lo rendesse famoso. Tanto che la stampa si trovò erroneamente ad attribuirne a quest’ultimo la paternità.

Il Nodo Orientale deve probabilmente il suo nome all’estrema popolarità che ha conosciuto in Cina, dove è utilizzato dalla maggior parte della popolazione incravattata, ed è anche conosciuto come Nodo Piccolo o Nodo Kent. Si tratta del più semplice e più piccolo intreccio per ornare la camicia, ottenibile in soli tre passaggi, per andare appunto incontro all’estremamente pratica mentalità del popolo del Paese della Grande Muraglia.

Quanto al nodo St.Andrew, è del tutto evidente la diretta correlazione tra questa annodatura stretta che appoggia trasversalmente sul colletto in modo da far sporgere leggermente, se correttamente eseguita, la cravatta dal collo prima di ricadere sul petto e la crocifissione di Andrea, apostolo di Gesù e fratello di Pietro, martirizzato a Patrasso non su una comune croce latina ma su una decussata, ossia a forma di X (chiamata appunto comunemente Croce di Sant’Andrea), da lui personalmente scelta, dal momento che egli non avrebbe mai osato eguagliare il Maestro nel martirio.

Ideato dal pittore surrealista francese di origine polacca Balthasar Klossowski de Rola, passato alla storia con lo pseudonimo di Balthus, l’omonimo nodo, di forma conica e larga, assai appariscente, è tra i più voluminosi in assoluto, e richiama in qualche modo i riferimenti allo stile di Giorgio De Chirico, che l’occhio educato non esita a scorgere nelle opere dell’artista.

Senza approfondire oltre per non travalicare gli scopi di questo breve scritto, scevro da ogni pretesa di completezza, ci limitiamo qui a sottolineare che analoga disamina potrebbe essere effettuata per i nodi Kelvin, Nicky, Victoria, Plattsburgh, Cavendish, Granchester, Hanongr, Onassis, eccetera eccetera, fino a ricomprendere tutti gli 85 modi in cui è possibile stringere una cravatta che sono stati individuati attraverso l’applicazione di modelli matematici da Thomas Fink e Yong Mao, due ricercatori dell’università di Cambridge.

Quello che qui preme mettere in risalto è che una sì variegata serqua di possibili annodamenti documenta quanto la cravatta abbia finito per permeare in maniera così profonda la fantasia e la cultura di tutta la civiltà occidentale prima e dell’intero globo terracqueo poi, con poche anche se in alcuni casi rilevanti eccezioni. Tanto da essersi “meritata” anche una giornata internazionale dedicata, celebrata ogni anno il 18 di ottobre.

Da quanto finora esposto è facile evincere la primazia della cravatta nei confronti degli altri accessori da collo maschili, che pure sono da essa derivati: il papillon, il plastron, la cravatta lavallière e la cravatta di cuoio.

Senza soffermarci sull’evidente e irrecuperabile ineleganza degli ultimi due ornamenti, e mettendo da parte la complessa raffinatezza che, salvo rarissime eccezioni, fa scadere il plastron nella più ditirambica delle ridicolaggini granguignolesche, intendiamo soffermarci sugli elementi che rendono la cravatta in tutto e per tutto preferibile al papillon.

A venirci in soccorso in quello che non consideriamo esercizio di arbitrio ma di semplice logica è in primo luogo un’altra delle forme, accanto a quella dei modi di annodare la cravatta, in cui si manifesta l’umano spirito, ossia la letteratura. Tra i grandi autori abbondano coloro che hanno dedicato pensieri e parole alla cravatta: procedendo in ordine alfabetico, il sommo Borges scriveva ammirato del suo mentore Macedonio Fernandez che oltre a essere un “inarrivabile scacchista polemico” era “anche capace di giocare a tennis e scegliere la cravatta giusta per un vestito”. Nei suoi Sillogismi dell’amarezza Emil Cioran ha sottolineato che “Sin dall'origine dei tempi, Dio ha scelto per noi ogni cosa, finanche le nostre cravatte”. Ancora, per Dino Segre, meglio noto come Pitigrilli “Il paradosso è un'elegantissima cravatta, che, a stringer troppo, diventa un nodo scorsoio”. E l’arguta impertinenza di Oscar Wilde ci ha spiegato che “Con un abito da sera e una cravatta bianca, chiunque, anche un agente di cambio, può far credere di essere una persona civile”.

Di contro nessuno dei geni delle umane lettere ha mai dedicato un singolo rigo alla cravatta a farfalla.

Ma non è solo questione di letteratura, anche la matematica ci aiuta nella nostra dimostrazione. Pallottoliere alla mano, è facile comprendere come il papillon sia un ornamento solo apparentemente più estroso sebbene in realtà nettamente più insipido rispetto alla cravatta tradizionale, offrendo il cravattino solo due possibili modi di annodamento rispetto agli oltre ottanta della sorella maggiore. Senza contare che, somma dei più tetri orrori, si è ormai affermato quasi universalmente nella versione con nodo cucito e laccetto da abbottonare o agganciare intorno al collo della camicia (sic!), una soluzione che leva ogni spazio alla fantasia abbracciando la più bieca standardizzazione.

Concludendo si può quindi osservare che il cravattino, pur provando a celare il suo eccesso di estrosità per passare da elegante, è in realtà, agli occhi dell’osservatore attento, garrulo, visivamente chiassoso, pomposamente proteso verso l’esterno per richiamare l’attenzione e portare una nota di distinzione, che peraltro solo in rari casi e sempre con fatica, riesce a donare. La cravatta invece, se usata in modo appropriato, garantisce eleganza con garbata discrezione, esaltando la figura di chi la indossa con cortese e delicata raffinatezza.

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G
Saggio penoso, prosa goffa e incerta, stile farraginosamente paraipotattico.
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F
Abbasso la cravatta, viva il Papillon!
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F
La cravatta fa schifo, meglio il cravattino a farfalla!
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